BIOGRAFIA
Marco Lo Cascio
Marco Lo Cascio, nasce a Palermo nel 1984; ha conseguito il diploma di laura presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo.
Durante il quadriennio ha intrapreso un percorso molto vario fra gli ambiti delle arti visive. Ha avuto la fortuna di giovare degli insegnamenti del Prof. Carlo Lauricella, che ha proposto un tipo di percorso molto libero, ideale per poter instaurare un reale confronto sul tema della creazione di un lavoro artistico, indipendentemente dalla specifica disciplina.
Nel corso dei quattro anni accademici ha potuto dedicarsi a: pittura, scultura, incisione, fotografia, elaborazione grafica.
La sua modalità di rappresentazione si basa sulla ricerca di un forma strutturata, anche nell’ambito pittorico, dove generalmente è possibile notare espressività e immediatezza istintiva, al contrario ha sempre avuto come primo obiettivo quello di realizzare una forma espressiva molto ragionata e visivamente schematica, più vicina al mondo del design.
La modalità di creazione più che sull’istintività creativa, si basa sulla progettualità indipendentemente dal campo di ricerca.
Tra i primi lavori che evidenziano tale direzione vi è “Binder mental”, una serie di dipinti su carta che presentano sul bordo sinistro i fori tipici dei fogli da rilegatura in fascicolo. Effettivamente esiste un piccolo raccoglitore ad anelli che cataloga i trentuno dipinti. Il lavoro si basa molto sull’emotività malinconica che si trasfigura in quelle immagini alienanti, ma allo stesso tempo la voglia di schematizzare ha portato alla scelta di rendere il tutto sotto forma di fascicolazione. Un viaggio attraverso la mente imbrigliato e catalogato.
Altro esempio di attento formalismo è “La vita è un gioco”, nel quale ha racchiuso il lato giocosamente macabro di alcune terrificanti attività che portano inevitabilmente all’autolesionismo dell’essere umano, come la guerra, la tortura, l’esecuzione capitale. Sono state utilizzate delle normali carte da poker su cui ha realizzato dei disegni a china ed acquarello raffiguranti le attività “mortalmente giocose”. Ha poi ricostruito il packaging della scatola delle carte, riportando il titolo dell’opera su di esso.
“Trasparenza nella privacy” è un lavoro che enfatizza ancora di più la voglia di rendere l’opera artistica un oggetto di design. L’idea di partenza si basa sulla mancanza di privacy che incorre nel vivere in grandi condomini; le case a stretto contatto permettono di vedere ed udire le attività delle singole famiglie. Spesso ad esempio i litigi diventano di dominio pubblico per il semplice fatto di vivere a stretto contatto. Le sottili pareti che dividono le case rendono forse troppo promiscua la vita di ogni giorno.
Dopo aver realizzato dodici statuette in cernit che raffigurano in modo grottesco ed estremo alcune attività comuni, sono state inserite in un teca di plexiglass per enfatizzare ancor di più il senso di esposizione totale della privacy.
Anche in “Il cielo in una stanza”, pur trattando un tema emotivamente coinvolgente come la depressione, ha cercato di restituire il concetto attraverso trentaquattro disegni a carboncino che per tecnica e formato, ricordano le polaroid. E’ ripreso il concetto di catalogazione di un’emozione, un diario “fotografico” della sofferenza intima che rinchiude in se stessi e fisicamente dentro la propria camera da letto.
Nel corso degli anni accademici come detto, ha spaziato attraverso vari medium espressivi allontanandosi dalla pittura in senso stretto, ritenendola una forma troppo indiretta, prediligendo il contatto e l’immediatezza del disegno su carta, o in alternativa la scultura. L’intermediazione delle setole del pennello non è stata considerata ideale per la sua modalità di creazione.
Nell’ultimo periodo ha riconsiderato il percorso pittorico, anche in questo caso però il medium espressivo è stato plasmato sulle caratteristiche dell’autore. La serie di quadri che sta attualmente realizzando si chiama “Jpg” e si rifà all’iperrealismo nato sul finire degli anni sessanta in America. Vi è uno strettissimo legame tra pittura e fotografia, i quadri realizzati si basano infatti interamente su fotografie realizzate dall’autore, ed i titoli non sono altro che i numeri seriali del file jpg da cui è tratto il dipinto. Lo scopo non è quello di creare dei quadri ma degli oggetti; il fotorealismo ad un primo sguardo rende le opere poco riconoscibili come pittoriche, e danno la netta sensazione di essere delle stampe su tela. I bordi sono dipinti in nero, per dare all’oggetto/quadro l’autonomia dalla classica cornice; i quadri così preparati possono essere appesi a parete dando l’impressione come detto prima di essere delle stampe.
I soggetti scelti non hanno una reale implicazione concettuale, ma sono selezionati in base alla possibilità di poter restituire il più possibile la “sensazione fotografica”. Le superfici sintetiche come quelle della auto ad esempio, risultano ideali a tale scopo.
La firma è riportata solo sul dorso della tela, per non interferire visivamente con ciò quello che vuole apparire come un’asettica stampa.